Vittimismo: l’arte del piangersi addosso, una forma socialmente accettata di manipolazione

… Alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze. (Esopo)

Mancanza di empatia, tendenza ad una velata “manipolazione”. Il vittimista, o meglio ancora, la falsa vittima, consiste in chi si lascia attraversare da uno dei più diffusi circoli viziosi che colpisce non solo un singolo individuo, bensì famiglie, gruppi sociali, intere popolazioni e, talvolta, pure ideologie o stili di vita.
Volendo citare uno dei tanti esempi quotidiani chi, oggigiorno, con la scusa della crisi (divenuta oramai la causa di ogni male) che affligge l’intera nazione, se non lo stesso continente europeo, non si tirerebbe indietro anche dal solo ipotizzare un proprio futuro più positivo?

Anche se non lo si trova inserito all’interno del DSM (ovvero il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), il vittimismo può essere considerato come una vera e propria patologia, che tende alla cronicizzazione che agisce come una sorta di “scudo difensivo” e, allo stesso tempo, un modo per poter catturare l’attenzione.
Appare ovvio che ogni vittima possieda un proprio carnefice, altrimenti non potrebbe rivestire il proprio ruolo ed ecco che appunto, essendoci una “falsa vittima”, vi è necessariamente la presenza un “falso carnefice”. È il caso ad esempio, di una gelosia infondata all’interno di una coppia, oppure dello studente che, non preparandosi bene ad un esame si lamenta di non averlo potuto superare o, se riesce ad essere promosso, di non aver ottenuto il voto da lui desiderato.
Ma, cercando di approfondire ancor più tale tematica, vien da chiedersi: quali sono esattamente le caratteristiche che contraddistinguono un vittimista?
Stando ad un resoconto bibliografico, un vittimista è innanzitutto colui che possiede una visione distorta della realtà, dato che è solito riversare la colpa delle proprie disavventure (spesso fittizie) ad altri, mai a se stesso.
Il vittimista inoltre, vive il paradosso del trovare conforto nel proprio lamento, poiché credendosi vittima di tutto ciò che accade intorno a se, è convinto di non poter far nulla per cambiare le circostanze se non lamentarsi.
Diffidente e costernato da atteggiamenti sospettosi nei confronti di chi lo circonda, il vittimista è sempre alla ricerca di nuovi colpevoli. Egli infatti fa di tutto pur di scovare anche un piccolo errore, una lieve mancanza messa in atto (magari in modo del tutto involontario) da parte di qualcuno a lui vicino, considerandolo, un gesto volto a danneggiarlo.
Altra caratteristica fondamentale del vittimista, è quella di non possedere la capacità di “un’onesta autocritica” nei confronti di se stesso, dato che la colpa viene attribuita sempre agli altri e, di conseguenza, non si preoccupa minimamente di ipotizzare che potrebbe anche essere sua.

Volendo indagare circa le motivazioni del vittimismo, varie sono le ipotesi a cui possiamo far riferimento per spiegare questo fastidioso modo di agire. Tra le più veritiere vi sono:

• Una mancata elaborazione della relazione primaria (caregiver – bambino), ovvero una madre o una qualsiasi persona che, prendendosi cura del proprio bambino, non è in grado di dargli il giusto affetto e, a causa di ciò, viene ritenuta inaffidabile dallo stesso bambino, al quale (automaticamente) trasmette la sensazione di non essere né aiutato né compreso da nessuno, di non essere degno di nessuna attenzione, sensazione che, ovviamente, andrà a consolidarsi sempre più con la crescita.
• Una certa difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni, come ad esempio: paura, preoccupazioni varie e dolori.
• Provare una certa invidia nei confronti di chi, secondo loro, è “più forte”, ovvero chi affronta le vicende quotidiane con più positività rispetto a loro e, addirittura, con chi è sempre disposto ad aiutarli.

Ma ciò che induce queste persone ad entrare in un tale circolo vizioso rendendolo ancor più cronico è la loro mancanza di empatia, il non comprendere lo stato d’animo altrui e, allo stesso tempo, il totale disinteresse anche solo nel provare a farlo. Essi tendono ad individuare i punti deboli del proprio interlocutore, in modo da poterlo colpevolizzare con le loro continue lamentele, facendolo realmente sentire “il loro carnefice”, manipolandolo dunque, nel più inaspettato dei modi, con frasi del tipo: “Ma come hai potuto farmi tutto ciò, dopo tutto quello che ho fatto per te?”

Il vittimismo, come avevamo inizialmente accennato, non si manifesta soltanto in un singolo soggetto, ma anche in intere comunità ed oggi più che mai, trova il suo spazio nei mass media, nei social, poiché sono proprio loro che, la maggior parte delle volte, decidono chi sono le vittime e chi no. Sono loro che riescono a manipolare le menti più sensibili, a dir loro come doversi comportare, quale sentimento negativo provare, innanzi ad un futuro sempre più incerto, ove al posto di pensare a costruire “un mestiere” con le proprie capacità, bisogna piuttosto essere disposti a distruggere ogni speranza ponendo l’attenzione ad una disavventura dopo l’altra.

Ritornando al singolo vittimista, potremmo concludere affermando che: se costui fosse soltanto più propenso ad accettare il proprio dolore, in modo da poterlo comprendere, rendendosi consapevole della concretezza di tutto ciò che lo circonda, forse comincerebbe a relazionarsi con gli altri, in modo più costruttivo, più amorevole, evitando così di prendere le sue solite distanze con un atteggiamento freddo e distaccato.
Possa tale riflessione essere un motivo in più per conoscere meglio se stessi per chi, almeno una volta nella propria vita, ha avuto modo di poter sperimentare un simile atteggiamento, essendo allo stesso tempo rincuorati ed incoraggiati da una delle frasi più famose della registra, sceneggiatrice e scrittrice statunitense Nora Ephron: “Sii l’eroe della tua vita, non la vittima.”

Giovanna Modesto

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