Anche Villapriolo si prepara alla santa Pasqua, che come ogni anno sarà all’insegna della fede e delle sacre tradizioni. La processione del Venerdì Santo sarà sicuramente un appuntamento molto sentito. A descriverla è il prof. Ettore Vasta che così racconta: “Una madre anziosa (la Madonna addolorata) cerca disperatamente il figlio, un giovane discepolo (San Giovanni) percorre perplesso le vie del paese alla ricerca del maestro, infine un corpo flagellato
si conduce composto per le strade in attesa di incontrare gli occhi straziati della madre e il silenzio del discepolo afflitto. E poi il calvario, la croce che aspetta quel corpo da un anno e dei gradini che ricordano momenti di dolore. A tutto si aggiunge il silenzio della gente, forse anche qualche lacrima, e la commozione suscitata da quei melodiosi lamenti che ormai da anni si ripetono forse sempre più in tono minore, ma senza dei quali sicuramente non si creerebbe quella particolare atmosfera”. Lamenti, che non c’è abitante di Villapriolo che non sappia riprodurre, pur non conoscendo le parole; melodia singolare, dal momento che non trova affinità con i lamenti dei paesi vicini, resa ancora più preziosa dal fatto che per interi secoli si è tramandata oralmente e solo nella circostanza della processione del Venerdì Santo. “Alcuni anni fa –spiega il prof. Vasta-, quando cominciai il mio lavoro di ricerca sul testo della “ladata”, presi coscienza di una profonda nebbia di cui si avvolge la storia del nostro paese: la mancanza di fonti scritte. Nessuno si è mai occupato di mettere per iscritto quanto la nostra comunità ha prodotto o ha realizzato nel corso della sua esistenza. Non esiste nessuna storia di nessuna cosa. Niente di niente. Il che è profondamente grave. Ma ciò non significa che non si debba, in qualche modo, cominciare. Intanto, mi si perdoni se stravolgo una tradizione che si perpetua da secoli, cioè quella di tramandare oralmente il testo della “ladata” durante la processione, ma urge il bisogno di scrivere e di certo non viviamo in un’epoca della cultura orale, anzi il rischio sarebbe alto: se si continua a tacere si rischia di dimenticare, e ciò non sarebbe giusto, soprattutto nei confronti di chi ci ha preceduto”.
Giacomo Lisacchi