VILLAROSA CELEBRA LA MEMORIA DEL MARESCIALLO DI POLIZIA PENITENZIARIA CALOGERO DI BONA

Villarosa. “Celebriamo oggi e domani la memoria del nostro concittadino mar. Calogero Di Bona, vice comandante dell’Ucciardone di Palermo, vittima trent’anni fa della cosiddetta lupara bianca. Con l’intitolazione della sala consiliare, Villarosa con rispetto si inchina al suo sacrificio diventando così memoria collettiva. Celebriamo anche, nell’occasione, il nome e il volto di tanti uomini, donne e persino bambini, vittime innocenti della mafia e della criminalità organizzata”. Questo è il passaggio significativo del messaggio del sindaco Gabriele Zaffora nell’aprire ieri le manifestazioni in onore del mar. Di Bona. Un segno di speranza, questa due giorni della memoria,

 a cui aderisce anche il vescovo, mons. Michele Pennisi, da anni in prima linea contro il fenomeno mafioso, il quale alcune settimane fa ha richiamato alla vigilanza e a un rinnovato impegno anche la Chiesa contro “il cancro della mafia”. Anche perchè c’è il rischio, ha affermato mons. Pennisi, che si chiudano gli occhi, che si veda la mafia come “un male inevitabile”. Da qui il suo impegno per “coinvolgere tutta la società civile in un lavoro di educazione alla legalità per contrastare il fenomeno mafioso”. Intanto, non possiamo non ricordare che intorno alla scomparsa del mar. Di Bona (28 agosto 1979) permane un mistero che dura da 30 anni. Le cronache dei giornali parlarono allora di “lupara bianca”, con cui la mafia faceva scomparire ogni traccia della persona rapita, ma si parlò anche di un regolamento di conti, un agguato teso a Di Bona da qualcuno che aveva forti rancori nei suoi confronti. Ma la verità purtroppo non fu mai scoperta. Allora Calogero Di Bona era vice comandante all’Ucciardone di Palermo. Da 15 anni faceva parte degli allora agenti di custodia e quasi tutti li aveva trascorsi nell’istituto palermitano, iniziando la carriera da semplice guardia. Dell’istruttoria se ne occupò il giudice Rocco Chinnici, anch’egli valoroso servitore dello Stato, il quale appurò che le cause della scomparsa del Di Bona dovevano essere ricercate nell’ambito del suo lavoro. “Ma con la morte del giudice Chinnici –ricorda la moglie Rosa Cracchiolo- moriva anche la speranza mia e dei miei figli di conoscere il motivo per il quale mio marito perse la vita. Da allora – conclude– sono trascorsi 30 anni e per la mia famiglia questi anni sono trascorsi con un dolore vivo al cuore per la perdita di un marito gentiluomo, di un padre meraviglioso per i nostri figli e per un uomo che ha creduto sempre nella Giustizia e per la quale ha indossato una divisa fino a perdere la vita”.

Giacomo Lisacchi