In occasione del “World Pasta Day”, la Cia lancia l’allarme. I nostri produttori sono in piena emergenza. Calati del 30 per cento i campi seminati. E la flessione potrebbe accentuarsi ulteriormente. Controlli più rigorosi sulle importazioni. Indispensabile un adeguato Patto di filiera. Serve una rapida approvazione del Piano di settore cerealicolo. E’ sempre più in crescita il consumo di pasta sulle tavole degli italiani (più 2,4 per cento è la previsione per quest’anno), ma per il grano duro nazionale è un vero e proprio tracollo. I prezzi pagati ai produttori sono in drammatica picchiata (13-15 euro al quintale). Addirittura più bassi di venti anni fa, quando le quotazioni erano di 50.000 lire, pari ad euro 25,82.
Un “taglio”, quindi, di quasi il 50 per cento. Non solo. Gli ettari seminati sono diminuiti di circa il 30 per cento rispetto al 2008 e c’è il rischio di un ulteriore calo visto che, alla vigilia delle nuove semine, diversi agricoltori sono propensi ad abbandonare questa coltura sia per i prezzi non remunerativi che per gli elevati costi produttivi, contributivi e burocratici. E su tutto incombe minaccioso l’import di prodotti esteri, molti dei quali di dubbia qualità e in alcuni casi anche illegali. A lanciare l’allarme è la Cia-Confederazione italiana agricoltori in occasione del “World Pasta Day” del 25 ottobre.
I produttori italiani di grano duro sono ormai al collasso e oltretutto fanno i conti con costi alle stelle (più 28 per cento rispetto al 2008). Una situazione -avverte la Cia- che coinvolge l’intero settore dei cereali che si trova in una drammatica emergenza. Uno scenario che rischia di aggravarsi ancora di più, mettendo fuori mercato tante aziende che oggi sono in grave difficoltà.
I complessi problemi che sta incontrando il comparto del grano duro possono mettere in pericolo -sottolinea la Cia- anche la stessa produzione di pasta italiana. In presenza di raccolti sempre meno abbondanti si aprirebbero ulteriormente le porte all’ importazione dai paesi extracomunitari, come gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, l’Australia e la Turchia. Un panorama reso ancora più difficile da manovre speculative che stanno provocando danni irreparabili per il prodotto nazionale. Il rischio, tutt’altro che remoto, è che molti agricoltori, visto lo scenario deprimente del settore in tutte le regioni (dal Sud al Centro, dal Nord alle Isole), non procedano alle prossime semine.
Ma a rendere ancora più problematica la situazione -sostiene la Cia- è l’allarme suscitato da importazioni di partite di grano duro “sospette” sotto il profilo sanitario. In questo caso il danno non sarebbe solo per i nostri cerealicoltori, ma anche per i consumatori. Sulle tavole potrebbe finire pasta di scarsa qualità e non certo rispondente ai canoni salutari. Da qui l’invito da parte della Confederazione a maggiori e più rigorosi controlli, soprattutto in porti come quello di Bari dove negli ultimi mesi sono stati denunciati importazioni di partite non regolari.
Le difficoltà dei produttori, aggravate da azioni commerciali poco “pulite”, possono gettare ombre sul panorama futuro della pasta che gli italiani continua ad amare, al di là degli aumenti dei prezzi che si sono avuti negli ultimi due anni (oggi, comunque in discesa). Sta di fatto che -nota la Cia- proprio i nostri connazionali continuano ad essere i primi consumatori al mondo di spaghetti, rigatoni, bucatini, lasagne, cannelloni: oltre 26 chili pro-capite l’anno (il 37 per cento al Nord, il 23 per cento al Centro e il 40 per cento al Sud). A seguire, ma ben distanziati, i venezuelani (12,9 chili pro-capite), i tunisini (11,7 chili pro-capite), i greci (10,4 chili pro-capite), gli svizzeri (9,7 chili pro-capite), gli svedesi e gli statunitensi (9 chili pro-capite).
I consumi di pasta di un italiano, quindi, sono tre volte superiori -afferma la Cia- a quelli di uno statunitense, di un greco o di un francese, cinque volte superiori a quelli di un tedesco o di uno spagnolo e sedici volte superiori a quelli di un giapponese.
Il valore economico della pasta -avverte la Cia- continua così a crescere. Nel 2008, la produzione nazionale è stata di oltre ai 3,1 tonnellate (per un fatturato complessivo di 4,7 miliardi di euro). Seguono gli Stati Uniti con 2 milioni di tonnellate e il Brasile con 1,5 milioni di tonnellate. L’Italia -come rileva anche l’Unipi (Unione industriali pastai italiani)- copre circa il 26 per cento della produzione mondiale di pasta e il 75 per cento di quella europea. In pratica, un piatto di pasta su quattro mangiato nel mondo e tre su quattro nell’Ue è “made in Italy”.
Per questa ragione la Cia pone l’accento sulla necessità di un riconoscimento della qualità del grano duro italiano che spesso l’industria (pasta) non vuole dare. Da qui l’esigenza di arrivare ad un organico Patto di filiera che permetta di costituire al più presto una seria interprofessione del settore, che, oltretutto, sconta di un’insufficiente organizzazione.
La Cia, quindi, rinnova al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali la richiesta di una rapida approvazione del Piano di settore cerealicolo che, pur con una scarsa dotazione finanziaria, potrebbe attivare, in un quadro organico, contratti di filiera, Psr, ricerca e sperimentazione. Accanto a ciò, occorrono investimenti per modernizzare la rete degli stoccaggi e per sviluppare la logistica commerciale.
La pasta alimentare in Italia
Tonnellate Milioni di euro
Produzione annua 3.161.707 4.714
Consumo nazionale 1.538.084 2.812
Consumo pro-capite (Kg) 26 Kg
Esportazione 1.623.623 1.902