I risultati del 25 ottobre confermano la straordinaria portata democratica di quello che potremmo considerare l’atto fondativo del PD, quelle primarie che non hanno rappresentato solo un metodo di selezione trasparente ed efficace dei candidati ai ruoli elettivi e dirigenziali, ma sono state anche la nostra controproposta al messaggio populista della destra, rimettendo i cittadini, il loro riscatto soggettivo e il loro protagonismo al centro della vita politica. E, ancora una volta, tre milioni di persone hanno creduto in questa sfida di innovazione, si sono pazientemente messe in fila, hanno votato ed hanno eletto il Segretario del PD. Un evento partecipativo e democratico che non ha eguali,
né in Italia, né in Europa, e che dimostra quanto ampio sia il patrimonio di passione, impegno civico e generosità su cui può contare il Partito Democratico.
Ma questo straordinario risultato dà anche la misura di quanta responsabilità gravi sulle spalle del nuovo Segretario e di tutti i dirigenti del PD: dal popolo delle Primarie vengono domande di unità e di riscossa che devono essere subito raccolte, dando all’opposizione un profilo sempre più incisivo e accelerando la costruzione di un’alternativa di governo, tanto più di fronte ad una crisi economica e sociale che morde nella vita delle persone senza che dal Governo, nazionale e regionale, vengano risposte adeguate e concrete.
Insomma: dalle Primarie esce un PD più forte, più vitale, più unito, che ora deve dimostrarsi all’altezza delle aspettative e delle speranze di tanti cittadini, capace di interpretare la società e di costruire gruppi dirigenti in grado di rispondere ai problemi veri delle persone.
Per questo, in vista delle prossime elezioni amministrative, merita una riflessione il ricorso alle primarie come meccanismo automatico , soprattutto in presenza di sindaci o amministratori uscenti. D’altronde la “mappa” disegnata da Rudy Francesco Calvo su Europa di qualche giorno fa parla chiaro: per le prossime regionali le primarie saranno più l’eccezione che la regola. Non si tratta ancora di una decisione statutaria, né di un arretramento, ma di scelte frutto di riflessioni locali, fatte, di volta in volta, sulla base delle singole esigenze territoriali discusse all’interno del Partito.
Quella discussione politica a cui è necessario tornare e che è stata invocata proprio dal Segretario Bersani all’indomani della sua elezione. Il nodo è tutto qui.
Ho già ribadito l’importanza delle primarie come elemento fondativo e caratterizzante del Pd, ritenendo molto difficile immaginare un partito che si definisce democratico senza questa spinta ad aprirsi, a spostare dal proprio interno alla società il baricentro dei processi di legittimazione delle leadership, delle candidature e delle scelte più qualificanti.
Ma, certamente, le primarie non sono e non possono esaurire la nostra identità.
Le primarie devono essere vissute, organizzate, gestite in uno spirito di lavoro unitario, per elaborare progetti, per costruire proposte, per riconquistare consensi, evitando di trasformare un ottimo strumento in un fine in sé.
E prima che di candidature, io credo sia necessario discutere di idee, di temi, di programmi, e solo successivamente decidere, tutti insieme, quale sia il percorso migliore per scegliere chi possa rappresentare al meglio quei programmi e quelle proposte.
Partendo, nel caso di amministrazioni del Pd, da una riflessione profonda sul lavoro svolto, sull’opportunità della ricandidatura del sindaco o del presidente uscente, che non può essere certamente affidata alla raccolta di un certo numero di firme piuttosto che al ricorso pedissequo a meccanismi statutari, ma deve essere la scelta consapevole di un partito che discute e che sceglie, per giungere a soluzioni e proposte che siano davvero di alto profilo.
Una riflessione a parte merita poi la questione delle primarie di coalizione, in un momento in cui è aperto il dibattito sulle alleanze. E’ proprio il concetto di “coalizione”, come lo avevamo pensato solo un anno fa, che rischia di essere insufficiente, e sul quale la riflessione politica deve certamente prevalere sull’automatismo di strumenti previsti in un momento storico e politico profondamente diverso da quello attuale.
Mutuando le parole di Pierluigi Castagnetti, “la novità del Partito democratico non risponde ad un’esigenza di estetica democratica ma di essenza democratica”.
Per queste ragioni le primarie non sono una risposta valida sempre e comunque per tutti i problemi. Occorre che prevalga quella Politica con la P maiuscola che metta al centro una discussione franca e aperta sulle proposte per il territorio, evitando il rischio che le primarie si riducano a modalità di soluzione di contrasti nei gruppi dirigenti, che poco interessano ai cittadini.
Elio Galvagno