Nell’ennese, come del resto in tutta la Sicilia, in Italia, si avverte un grande bisogno di verità, di giustizia, di un impegno concreto per ricercare i tanti pezzi sparsi di questo mosaico scomposto che è la storia del nostro disgraziato Paese. C’è anche un’inesauribile richiesta di liberare il nostro territorio dalla coltre di nebbia, che l’avvolge e lo rende opaco se è vero, come ha sostenuto il funzionario di polizia Gioacchino Genchi, consulente tecnico dell’Autorità giudiziaria di importanti inchieste nazionali, che le indagini di Catanzaro condotte dal magistrato De Magistris, non più portate avanti, sulle corruzioni calabresi arrivano finanche nella nostra provincia. “Agli atti di quelle indagini –ha detto Genchi-
che saranno pubblicate in un libro che uscirà a breve una parte riguarda proprio dei soggetti autorevolissimi della vostra provincia appartenenti alla politica, al mondo delle istituzioni e altro sui quali si sono trovati collegamenti con le indagini calabresi”. Rivelazioni inedite che pesano come enormi macigni, fatte nel corso dell’incontro-dibattito dal tema “E’ ora di fare i conti con la storia, con verità distorte non si può costruire futuro” organizzato dalla neonata associazione ennese “Fuori dal coro” che si è svolto, ieri, nella affollata sala Cerere di palazzo Chiaramonte alla presenza del sindaco Rino Agnello. All’evento hanno partecipato, oltre a Genchi, Salvatore Borsellino, il funzionario di Polizia Marcello Immordino, l’avvocato Armando Sorrentino e il giornalista Giuseppe Lo Bianco. Dopo l’introduzione del presidente di “Fuori del coro”, Sandro Immordino, che ha spiegato per grandi linee le finalità dell’associazione, è toccato al giornalista Lo Bianco avviare e moderare i lavori il quale ha commentato che mentre “una associazione antimafia riesce ad organizzare un incontro così affollato, il territorio, invece, è lasciato in balia dell’illecito, dei criminali, dei delinquenti date le mancate risposte del ministro Alfano alle carenze del tribunale di Enna”. Sulla strage di via D’Amelio e di quei concitati momenti immediatamente successivi dove scomparve la famosa agenda rossa del fratello Paolo, si è invece soffermato Salvatore Borsellino. Facendo intendere che nella strage vi sarebbe stata anche una mano estranea a Cosa Nostra. “La morte di mio fratello –ha detto- è avvenuta per giochi di potere e non per volere esclusivo dei mafiosi”. Quindi ha parlato dell’ufficiale dei carabinieri Arcangioli, che in un video del 19 luglio 1992 si nota con la borsa del magistrato mentre “si allontana –ha annotato Salvatore Borsellino- con passo sicuro dalla macchina di Paolo guardandosi intorno non come una persona sconvolta, ma come una persona che sta compiendo un’azione di guerra. Io, per questa agenda rossa continuerò a chiedere e cercare giustizia”. A fare un exursus storico degli “anni difficili” della Sicilia partendo addirittura dalla strage di Portella delle Ginestre è stato Marcello Immordino, funzionario di Polizia, che guidò a Palermo le operazioni che portarono alla scoperta del covo di Leoluca Bagarella. Altro capitolo è stato infine quello delle presunte trattative e collusioni tra uomini dello Stato ed esponenti mafiosi su cui si è soffermato Armando Sorrentino, avvocato di parte civile nei processi Pio La Torre, Strage di Capaci e Borsellino.
Giacomo Lisacchi