La Fidapa di Leonforte ha presentato nel salone di rappresentanza del Circolo degli operai il libro Cu nesci rinesci di Beatrice Vacirca Arena, con prefazione del prof. Enzo Barnabà, pubblicato in seconda edizione da Salvo Bonfirraro Editore. L’autrice, nata a Valguarnera Caropepe, impossibilitata ad essere presente alla cerimonia, da Castagneto Po, in provincia di Torino, ove vive da più di 40 anni, si è collegata con i presenti con la webcamera. Il libro,la sua opera prima, tratteggia con ironia il tema del ritorno dell’emigrante come metafora di un viaggio tutto interiore alla ricerca delle proprie origini in cui il paese natio è solo un’immagine mitizzata.
E’la descrizione di coloro che per riuscire sono costretti ad andare via dal paese di nascita. Interpellata a distanza sull’emigrante d’oggi, l’autrice ha risposto che, rispetto a quello degli anni ’50, è diplomato, non è più un morto di fame, né un disperato in cerca di fortuna, è di certo meno discriminato perché più sicuro di sé e più capace di affrontare le avversità della vita.
A coordinare i lavori è stata la prof.ssa Fina Sciuto, presidente della Fidapa, la quale ha evidenziato di essersi molto divertita alla lettura del libro, ritrovando nella descrizione delle tradizioni, dei costumi, delle usanze topiche della Sicilia Centrale, uno spaccato della sua infanzia. Ha esortato i giovani, che non sanno più parlare il dialetto e sconoscono le usanze di una volta nei matrimoni e nei funerali, a non perdere il legame con le proprie radici.
Per il dr. Emilio Barbera, direttore della casa editrice Oasi Città Aperta di Troina, che ha avuto l’incarico di illustrarlo, il libro si legge benissimo, è scorrevole ed avvincente. E’ un quadro sociologico, descrive, cioè, una società che non c’è più, che abbiamo in gran parte dimenticata, di cui si vanno a perdere le radici, le tradizioni che prima si tramandavano da generazione a generazione.
A suo dire, il libro va letto per due motivi: uno per divertirsi, l’altro per riflettere. Ogni pagina, infatti, è un piacere leggere, perché è la descrizione di una società pirandelliana che richiama in parte quella rappresentata dallo scrittore Francesco Lanza anch’egli, come l’autrice, di Valguarnera. Ci fa anche riflettere, perché l’emigrante, il cui primo pensiero è di ritornare al suo caro paese, spendendovi i suoi soldi, vi crea sviluppo ed occupazione e, pur costruendovi villaggi abusivi e stravolgendo financo i centri storici, incide notevolmente sulla sua trasformazione. Quando ritorna, il volto del suo Paese è cambiato, come pure lui è cambiato, perché parla un linguaggio nuovo, parla di catena di montaggio, di città popolose e caotiche. Da un mondo contadino l’emigrante è passato ad un mondo industrializzato, una realtà in cui ha perso la sua identità, non è più nessuno, solo un numero in mezzo a numeri. Gli emigranti per Emilio Barbera hanno svuotato i loro paesi e ciò ha favorito una politica assistenzialistica a danno di coloro che sono rimasti.
La prof.ssa Sciuto ha letto con maestria, con vero fervore, alcuni passi del libro, suscitando l’apprezzamento dei presenti e dell’autrice che spesso ha sorriso in senso di compiacimento e d’approvazione. Dopo l’intervento del poeta-scrittore Pasqualino Pappalardo, che ha ricordato un aneddoto di un matrimonio descritto dallo psichiatra e psicanalista Carl Gustav Jung; dell’editore Salvo Bonfirraro, che ha posto l’attenzione sul ritorno del senso di appartenenza e sulla capacità di alcuni siciliani d’inventarsi, senza assistenzialismo e servilismo, il lavoro nel paese nativo; di Angelo Castrogiovanni, presidente del Circolo degli operai, che ha brevemente accennato alla sua passata esperienza di emigrante nella qualità di agente di scorta di alcuni magistrati, il poeta Nello Sciuto ha declamato una sua poesia dal titolo Il libro quale metafora della ricchezza del sapere cui da vecchi è troppo tardi accostarsi. La serata è stata allietata dal suono della chitarra di Gino Nicoletti, cugino dell’autrice.
Giuseppe Sammartino