Enna – Burocrazia infinita, sballottamento da un posto all’altro, disorganizzazione e confusione miscelata a una buona dose di scortesia, sono il risultato di una lunga odissea vissuta da un disabile ennese P.P. che, per ottenere un semplice diritto come il rilascio di un contrassegno invalidi, si è visto catapultato nei labirinti della burocrazia del comune di Enna. Il viaggio, svoltosi qualche giorno fa, inizia dapprima con una semplice richiesta di informazioni che normalmente, nei comuni ove vige la tanto declamata efficienza e lo snellimento delle pratiche dal ministro Brunetta, si potrebbe ottenere con una semplice telefonata – magari ad un numero verde – che ti informa sull’iter e sui documenti da presentare. Ma tutto ciò ad Enna sembra una chimera. Il diversamente abile, che si è rivolto alla nostra testata per avere voce, ci racconta ciò che gli è successo. In un primo momento, dopo aver telefonato più volte al comando della Polizia Municipale senza mai ottenere risposta, si reca personalmente nel presidio di piazza Municipio che, aimè, trova chiuso. Avendo incontrato più avanti, nei pressi della Prefettura, un agente della P.M. , chiede lumi e gli viene detto che per il rilascio del tesserino deve recarsi alla sede centrale della Polizia Municipale sita in viale IV Novembre. Giunto lì la sorpresa: gli uffici sono ubicati al primo piano del palazzo sprovvisto, peraltro, di ascensore per disabile e senza nemmeno una stanza al piano terra dove poter eventualmente sostare suonando un campanello riservato ai portatori di handicap. Quindi si arrampica sino agli uffici dove, una gentile ispettrice, lo informa che per presentare la richiesta deve recarsi agli uffici di solidarietà sociale siti ad Enna Bassa. Ripreso il percorso per giungere finalmente alla meta “proibita”, si accorge che l’ubicazione della struttura sociale è allocata in una scuola, ma al piano interrato, che non è semplice raggiungere per la difficoltà che presenta la ripida discesa che bisogna percorre per raggiungerla nonché la strada, tra l’altro sterrata e quindi impraticabile per un disabile, e senza indicazioni. Lì, un bel cartello affisso al portone, avvisa gli utenti degli orari di accoglienza al pubblico che, proprio in quel giorno, non ricevono. Pur tuttavia, il nostro, bussa più volte alla porta finché un impiegato viene ad aprire. Il signore, che nonostante una norma sulla trasparenza stabilisca che gli impiegati pubblici debbano essere riconoscibili tramite un apposito tesserino che dovrebbero portare addosso per l’identificazione di cui lo stesso era sprovvisto, non fa nemmeno entrare dentro il “mal capitato disabile” lasciandolo fuori al sole cocente di una tipica giornata di caldo sicula e con la porta appena aperta dalla quale a mala appena si affacciava l’impiegato per chiedergli le informazioni del caso. Alla richiesta del disabile di informazioni relative al contrassegno, il “solerte impiegato” rispose che bisognava avere il certificato rilasciato dall’ASL di competenza che affermi la ridotta capacità di deambulazione. A che il signor P.P. esibì un certificato rilasciato dalla Commissione Medica di Verifica del Ministero dell’Economia e delle Finanze che attestava il grado di invalidità nonché l’effettiva riduzione della locomozione. Ma per quel dipendente tale certificato non era valido: bisognava esibire quello dell’Azienda Sanitaria Locale. Per cui al nostro disabile non restava altro da fare che andare all’ASL, pagare 19,11 euro costo del documento, perdere un’altra giornata tra pagamento del bollettino alla posta e relativa fila, ritornare agli uffici dell’Asl per visita e rilascio certificato ed infine riportare un altro giorno il tutto, correlato di domanda, ai servizi sociali. Una assurdità inaudita, come se l’attestazione di un ente – peraltro superiore all’ASL – fosse carta straccia, alla faccia della semplificazione degli atti amministrativi! La irrazionale vicenda, malgrado le leggi a favore dei disabili abbiano più volte ribadito l’agevolazione di questi per il loro meglio inserimento nella società, appare talmente sconfortante e disdicevole per i tristi significati che essa assume: una cultura tendente non ad agevolare chi già purtroppo ha subito dalla vita gravi disagi, non orientata a facilitare i cittadini – ed in particolar modo coloro che sono portatori di handicap – ad ottenere diritti essenziali, bensì un orientamento atavico, ancora ancorato a sistemi di politica clientelare, dove i diritti vengono scambiati per favori che, malgrado le lotte sostenute dalla società civile, attualmente a Enna non riescono a morire. Ma la locale classe dirigente ennese che in questi giorni di elezioni ha tanto sbandierato bei propositi dov’è stata sin’ora? A voi lettori lasciamo l’ardua sentenza!
Nello Cristaudo