SUA ECCELLENZA MONS MICHELE PENNISI SULLA RICORRENZA DEL 4 Novembre

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Siamo riuniti quest’oggi in questo sacrario dei caduti per celebrare  nel  94° anniversario della fine della grande Guerra la Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate  e ricordare tutti i caduti di tutte le guerre, su tutti i fronti. Il 4 novembre del 1918  terminava  la Prima Guerra Mondiale, che vedeva  molti Stati schierati gli uni contro gli altri in un conflitto che in quattro anni causerà la morte di  parecchi milioni di persone  fra cui 670.000 italiani senza contare i feriti e  i mutilati .  Era il 1° agosto 1917 quando il Papa di allora, Benedetto XV, definì la guerra in corso una “inutile strage”.  Si trattò della “Grande Guerra” come venne definita prima che se ne potesse immaginare una seconda, che scoppierà appena 21 anni dopo, ed avrà esiti ancor più disastrosi. Oggi noi ricordiamo l’enorme sacrificio  di esseri umani che la prima grande guerra – così come tutte quelle che l’hanno preceduta e poi seguita – ha portato con sé  e ci vogliamo impegnare ad essere  ogni giorno costruttori di pace.
Questa Festa ci offre l’occasione per festeggiare l’unità nazionale raggiunta a prezzo di sacrifici di tante persone  che rimane un bene da salvaguardare , nel rispetto delle legittime autonomie locali. L’unità nazionale per essere effettiva deve affrontare con  decisione le questioni irrisolte del divario tra nord e sud del Paese a partire dalla questione cruciale dell’occupazione e delle reti di comunicazione che rischiano di aumentare l’isolamento delle regioni meridionali e di pregiudicare il loro sviluppo futuro in vista dell’allargamento dell’area di libero scambio. La questione meridionale  rimane ancora, una “questione nazionale” e “una questione etica” che implica la responsabilità di tutto il Paese.  
Oggi oltre a pregare per il bene comune della nostra Patria e commemorare i tutti i caduti di tutte le guerre  e degli atti di violenza , vogliamo esprimere la nostra riconoscenza a quanti, militando nelle forze armate e di polizia affrontano ogni giorno il pericolo per difendere la legalità, garantire la sicurezza dei cittadini, tutelare la giustizia e la pace.
La giustizia e la sicurezza di tutti i cittadini deve essere garantita da chi è preposto a garantire l’ordine pubblico ed amministrare la giustizia contando nella collaborazione e nella stima di tutti i cittadini onesti.
L’ideale che deve costantemente animare le forze armate e  i corpi di polizia è quello di  essere “artefici di pace mediante l’esempio di magnanima dedizione al dovere, di imparziale tutela della legalità, di coraggiosa difesa dei diritti del cittadino, specialmente del più debole ed inerme”.
Il beato  Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo delle Forze Armate disse ai militari provenienti da tutto il mondo: ” Voi lottate ogni giorno contro la violenza e le forze disgregatrici del male presenti nel mondo : siete chiamati a difendere i deboli, a tutelare gli onesti, a favorire la pacifica convivenza dei popoli. A ciascuno di voi si addice il ruolo di sentinella, che guarda lontano per scongiurare il pericolo e promuovere dappertutto la giustizia e la pace”.
La pace è fondamentale diritto dell’uomo. Non si può ottenere senza la tutela dei beni delle persone, senza la libera comunicazione fra gli esseri umani, senza il rispetto della dignità dei singoli e dei popoli, soprattutto senza un’instancabile ricerca e salvaguardia della giustizia che trova il suo completamento nell’amore .
La Parola di Dio di questa Domenica  ci propone, come motivo principale della nostra meditazione, il primo fondamentale comandamento per l’antico Israele e per il nuovo Israele, che è la comunità dei credenti, nata dalla morte in Croce e Risurrezione di Gesù Cristo, unico salvatore del mondo.
Un tale chiede a Gesù quale sia il primo di tutti i comandamenti. Riceve questa risposta: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Dio è il primo. Deve occupare nella nostra vita il posto che gli compete. Non vi può essere altra cosa prima di lui. Un primo posto che non può essergli usurpato da nessuno. Purtroppo, non è sempre così, anche nella vita del credente. Cè il  pericolo anche  per i cristiani di un  ateismo pratico, un secolarismo interno alla vita dei credenti, che ci fa vivere come se Dio non esistesse.
L’amore verso Dio comincia dal nostro dovere di ascoltarlo. È la prima parola, che precede i comandamenti: “Ascolta”. Richiede impegno e attenzione nei confronti della parola di Dio. Per amare una persona bisogna prima conoscerla e ascoltarla. Ciò vale anche nei confronti di Dio. Più lo conosceremo, più ci renderemo conto di quanto merita di essere amato, al di sopra e prima di tutte le cose.
Gesù aggiunge nella sua risposta: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”. L’apostolo Giovanni in una sua lettera chiede al cristiano. “Come fai tu a dire di amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo tuo che vedi?”. E in realtà amare Dio potrebbe sembrare più comodo e più facile, mentre il nostro prossimo si presenta, il più delle volte, scomodo e ben poco attraente. Spesso è povero e bisognoso, malato o vecchio, egoista e ingrato. Eppure proprio in lui si identifica quel Dio che siamo chiamati ad amare. Per Cristo, dimensione verticale (Dio) e orizzontale (prossimo) sono inestricabili, si incrociano e si vivificano reciprocamente e costituiscono, in tal modo, l’essere cristiano completo e genuino.
Gesù ha detto: “Ciò che avete fatto ad uno di loro, piccoli e poveri, l’avete fatto a me”. Ecco perché il secondo comandamento è simile al primo. Sono complementari ed esigono di essere osservati insieme, mai l’uno senza l’altro.
Quanto e come dobbiamo amare Dio ? La risposta di Gesù è molto chiara: “Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Esse esigono, infatti, un’attuazione che coinvolga cuore, cioè coscienza, anima, pensiero e azione dell’uomo, in altre parole il “te stesso” totale: cuore anima e mente.
Amare Dio non è una regola che si impone dall’esterno, come un dovere appreso a forza di castighi. È piuttosto la logica conseguenza dell’esperienza ripetuta di sentirsi amati, il frutto del vedersi avvolti nel tenero abbraccio di Dio.
Gesù afferma che questo amore vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici che l’uomo può dedicare a Dio.
La conseguenza della osservanza del comandamento dell’amore è la pace che Gesù dona ai suoi discepoli. La pace definitiva di Gesù, frutto dell’amore che abbatte i muri della divisione tra le razze e le culture, è diversa dalla fragile e parziale pace del mondo imposta con la forza brutale, con la sopraffazione o con la furbizia.
Nel magistero dei Papi  del XX secolo la ricerca della pace è venuta apparendo sempre più come un aspetto essenziale del dialogo della Chiesa con gli uomini del nostro tempo, un importante banco di prova della testimonianza di carità che la Chiesa ha da dare al mondo, un contenuto non secondario dello stesso annunzio cristiano.
Il prossimo anno ci prepariamo a celbrare il cinquantesimo anniversario della lettera enciclica “Pacem in Terris” del beato Giovanni XXIII, preoccupato del potenziale distruttivo dell’arsenale atomico  e della gara delle grandi potenze ad aumentarlo,  . La pace per Giovanni XXIII poggia idealmente su quattro colonne: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà.
Paolo VI, da parte sua, nel suo magistero insistette molto sulla pace come condizione di ogni possibilità di sviluppo. Lo sviluppo era, per lui, il nuovo nome della pace. Paolo VI  istituì il Pontificio Consiglio di Iustitia et Pax, di cui mi onoro di far parte,  e prese l’iniziativa della Giornata mondiale della pace, all’inizio di ogni anno, a partire dall’anno 1968.
Il Beato Giovanni Paolo II, ha richiamato le persone di buona volontà a riflettere sui vari aspetti di una ordinata convivenza, alla luce della ragione e della fede, richiamandosi al diritto naturale come base oggettiva e universale .
Papa Benedetto XVI ha continuato la tradizione dei suoi predecessori e in questi anni nei messaggi per la Giornata mondiale per la pace .Nel primo messaggio egli ha scritto che “Il nome stesso di Benedetto, che ho scelto il giorno dell’elezione alla Cattedra di Pietro, sta ad indicare il mio convinto impegno in favore della pace. Ho inteso, infatti, riferirmi sia al Santo Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV, che condannò la Prima Guerra Mondiale come « inutile strage » e si adoperò perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace.
Questi appelli  dei Sommi Pontefici si devono tradurre in scelte operative, in progetti politici ed umanitari per educare alla pace individui, comunità e nazioni, per costruire una vera cultura di pace, premessa indispensabile per una effettiva civiltà dell’amore a vantaggio di tutta l’umanità.
Oggi mentre esprimiamo il più vivo apprezzamento per tutti coloro che sono al servizio della Patria  con  continua dedizione  e  generoso impegno , in questa  celebrazione eucaristica, vogliamo  rendere   omaggio a tutti coloro che  hanno fatto della loro vita  un dono gradito al Signore  e sono morti nell’adempimento del loro dovere nel difendere la patria e garantire la sicurezza dei cittadini e li affidiamo al Signore misericordioso con gratitudine e ammirazione.
+ Mons. Michele Pennisi Vescovo di Piazza Armerina

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