Oltre 80 anni, nel 1837, scoppiò una virulenta epidemia di cholera-morbus. Da Palermo, dove si verificarono i primi casi di mortalità, il contagio si diffuse rapidamente anche nelle città portuali di Catania, Siracusa e Messina, e quindi anche nelle città minori, minacciando di diffondersi per tutta l’isola. Enna innalzò un cordone sanitario, specie ad occidente, lungo i confini con la provincia palermitana. Fu necessario un contingente di 216 uomini per coprire h24, i settantadue corpi di guardia dislocati sul vasto territorio comunale. Un avviso pubblico informò i cittadini sui provvedimenti sanitari presi nella capitale e sulla organizzazione del cordone, ma risultò alquanto difficile salvaguardare la città dagli ingressi clandestini. In quel tempo Enna era sufficientemente dotata di organizzazione sanitaria potendo contare su 27 tra medici, chirurghi, levatrici e farmacisti oltre ad un ospedale attrezzato con due sale degenti, ubicato nell’area dove oggi sorge il Palazzo del Governo. Per il protrarsi del blocco sanitario “paralizzati si veggono il commercio e l’industria con gravissimo danno”. Vennero a mancare i generi di prima necessità e di conseguenza “fame e tumulti andarono a braccetto”. I notabili ennesi “civili, possidenti, preti regolari e secolari, mastri di bottega ed impiegati, con in testa la civica università” inviarono, l’8 luglio 1837, una supplica al Magistrato responsabile “per non essere obbligati a portarsi in luoghi paludosi, in sì nociva stagione” essendo loro “nati e avvezzi a respirare un aere puro”. I dettagli di quegli avvenimenti ci vengono descritti da Paolo Vetri nella “Storia di Enna”, (Vol. II – rist. ed. Ila Palma, PA, 1978) che nelle pagine della ricostruzione storica di quei tragici mesi vissuti dalla popolazione, c’informa che i “supplicanti si sono sempre comportati così in ogni epidemia, preferendo abbandonare le loro produzioni alla discrezione dei villici, senza sorveglianti, preferendo la sottrazione di generi a loro danno […] pur di scanzare inevitabili malori di febbri ardenti miasmatiche, diarreghe, dissenterie ed altre”. Al divieto di commerciare, si ordinò “la chiusura dei fondachi e locande”, tradizionali alloggi dei vetturali. Con il diffondersi dell’epidemia, scoppiarono gravi disordini di piazza in quasi tutte le città dell’isola. Enna riuscì a contenere le dimostrazioni popolari e quando venne “scoperto il veleno causa del terribile morbo asiatico […] si giudica definitivamente salva, scioglie il cordone sanitario, riprende il lavoro, il consueto modo di vivere ed innalza alla Vergine Maria ringraziamenti per averla preservata da cotanto flagello”. Dopo la prima decade di settembre “il male cominciò a declinare” finché, alla fine dell’anno 1837, scomparse del tutto. Il bilancio fu pesante. Furono colpiti 13 comuni del circondario, con 2263 morti. A Enna furono censite poche vittime. Ma registrò una grave perdita, a Catania, sua patria adottiva, il 31 agosto 1837, morì, stroncato dal terribile morbo, all’età di 63 anni, il canonico Giuseppe Alessi, un ennese illustre, teologo egregio, naturalista insigne, scrittore di patrie storie, archeologo rinomato, eccellente letterato, direttore dell’Accademia Gioenia e rettore del Real collegio di arti, esperto archeologo al museo Biscari, docente di diritto canonico presso quella regia università. Enna, sua città natale, gli ha intitolato una piazza e un museo, inaugurato nel 1987, nelle cui sale sono esposte le sue ricche collezioni di reperti archeologici, dipinti, monete, opere pittoriche, stampe, idoletti, ecc, raccolti durante la sua permanenza a Catania con una “attività quasi affannosa”. Le collezioni furono acquisite dalla Chiesa Madre nel 1860 ed esposte parzialmente nei locali della Canonica fino alla definitiva sistemazione nell’attuale sede del Museo Alessi, purtroppo chiuso da diversi anni. Salvatore Presti Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia e sul sito Il Campanile.it i1 1 settembre 2007 col titolo “La peste colpì a morte Giuseppe Alessi, canonico e scienziato”