Ancora una volta è saltato il turno, 28 e 29 marzo, per l’elezione del presidente delle ex Province, oggi Liberi Consorzi di Comuni. Nei giorni scorsi, l’Ars ha rimandato il tutto, almeno fino a settembre, come asseriscono le solite voci bene informate di Sala d’Ercole. Le cronache parlamentari registrano il commento ufficiale: la decisione dello slittamento appartiene ai deputati regionali che hanno votato trasversalmente contro l‘intendimento del Governo Musumeci di andare, invece, alle urne. Presidente della Regione e assessori sarebbero stati fortemente decisi a dialogare, dopo ben 7 anni, con giunte delle ex Province; i deputati no. Una domanda; chi crede a questa versione ufficiale? Praticamente nessuno, meno che mai gli attori della messa in scena. Lasciamo da parte gli innumerevoli dubbi normativi, politici e organizzativi che la rivoluzione o involuzione, voluta dall’ex presidente Rosario Crocetta, ha prodotto. Questi vanno scansionati e risolti in altre sedi. Qui vogliamo dare conto solo alle voci rimuginanti dentro il palazzone palermitano che alla fine rappresenta sempre “grasso che cola.” Affermano che l’ennesimo rinvio avrebbe trovato sponda su “ben altro”. Di questi tempi a Palermo predomina una certezza, “bambole non c’è una lira”, e una gestione più rappresentativa degli enti di coordinamento dei Comuni porterebbe imbarazzo. Di certo verrebbero sollecitate maggiori spese con un assoluto disagio per chi non le può autorizzare e per chi non le può appoggiare. Meglio attendere tempi segnati da più liquidità. Presidenti e assessori provinciali saranno espressioni del territorio che vivono, che conoscono, che hanno a cuore e di conseguenza presseranno più delle gestioni commissariali per ottenere interventi che costano. Appena eletti i nuovi vertici avrebbero predisposto necessari monitoraggi del disastro oggi chiamato Province, avrebbero varato progetti, richiesto fondi e torchiato assessori regionali e deputati. Cosa fare per evitare le probabili incalzanti e imbarazzanti richieste? Semplice, continuare con le gestioni commissariali. Queste di norma sono meno pretenziose rispetto le istanze formulate da un ceto politico che non avrebbe avuto alcuna voglia di fermarsi all’ordinaria amministrazione. A questo disagio va ad aggiungersi una legge elettorale che per l’elezione dei vertici degli enti intermedi prevede un turno di secondo grado. In pratica, il corpo elettorale non è chiamato ad eleggere, come vuole la democrazia, i propri rappresentanti, ma sono sindaci e consiglieri comunali che devono scegliere. E questo non piace proprio a nessuno. Piace, infine, ancora meno il voto ponderato che premia e considera i Comuni più popolosi. Insomma dubbi normativi, perplessità politiche, difficoltà organizzative hanno convinto per l’ennesimo rinvio. Della rivoluzione crocettiana solo macerie e deserto.
Paolo Di Marco